I Classicisti Abbassino le Penne.

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I Classicisti Abbassino le Penne.

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L’eccessiva spocchia dei classicisti, che può sfociare in vera boria quando parlano con chi non ha seguito studi classici, è proverbiale. Ora, però, abbassino le loro penne perchè stiamo entrando nel futuro. In questa analisi volutamente filosofica esploriamo la complessità del pensiero e la necessità della semplicità, con un finale ironico che rivela l’inutilità dell’eccessiva complicazione. Vediamo come un semplicissimo detto popolare possa essere stravolto da un linguaggio filosofico, che non ha altro scopo che gonfiare a dismisura l’ego di chi lo utilizza.

Personalmente, provo un profondo disprezzo per la spocchiosità di coloro che hanno seguito studi classici, quando si accorgono che il loro interlocutore proviene da un percorso accademico prettamente scientifico, o peggio, quando si accorgono che non ha un titolo accademico universitario, ma solo un diploma, e questo è disgustoso !

Vediamo ora come complicare un concetto di facilissima comprensione con un linguaggio filosofico atto solo a confondere le idee di chi non mangi quotidianamente pane e filosofia:

Tanto va la gatta al lardo che ci lascia lo zampino”

1. La dialettica dell’ineluttabilità: un’interrogazione della relazione tra desiderio e destino.

Il desiderio reiterato, quale forza che trascende la volizione consapevole, conduce l’essere senziente a una continua tensione verso l’oggetto del suo impulso, inevitabilmente configurandosi come elemento che catalizza la sua stessa rovina. In tale configurazione, la ripetizione dell’atto desiderante non è semplicemente un errore di giudizio, ma un processo attraverso il quale il soggetto, nella sua finitezza, incontra il proprio limite. Questo limite non è altro che la materializzazione del tragico, che si rivela nella sintesi dell’azione culminante nel compimento del destino predestinato. È nella natura della volontà, come Friedrich Nietzsche argomenterebbe, di persistere nel ciclo dell’eterno ritorno, dove ogni iterazione avvicina l’individuo alla sua apoteosi catastrofica.

2. La prospettiva esistenzialista: la paradossale ricerca del nulla.

In una visione esistenzialista, come suggerirebbero Jean-Paul Sartre e Martin Heidegger, l’individuo è intrappolato nella sua ricerca di un significato che, tuttavia, si dissolve di fronte all’assurdità dell’esistenza stessa. La reiterazione dell’azione, nell’illusione di un significato profondo, conduce inevitabilmente a un fallimento che è, al tempo stesso, rivelazione del nulla intrinseco alla condizione umana. Tale fallimento, lungi dall’essere un semplice errore di calcolo, è la condizione necessaria per la comprensione della propria finitezza e della inevitabilità dell’autodistruzione. L’essenza del “progetto” esistenziale è dunque intrinsecamente votata a un fallimento predeterminato, che è paradossalmente il suo stesso compimento.

3. La critica del desiderio: Schopenhauer e la volontà come condanna.

Arthur Schopenhauer, nella sua concezione pessimistica della vita, vede nella volontà l’origine di ogni sofferenza. La volontà, cieca e inesorabile, spinge l’individuo a perseguire ciò che, inevitabilmente, condurrà al suo decadimento. Questa spinta incessante non è altro che la manifestazione della natura stessa della volontà, che è, in sé, autodistruttiva. La continua ricerca del piacere è, in ultima analisi, la strada che porta all’autodistruzione, un percorso tracciato dalla natura implacabile della volontà stessa.

4. La semplificazione dell’ovvio: un’ironia necessaria.

Alla fine di questa tortuosa analisi, si potrebbe argomentare che tutto ciò che è stato detto potrebbe essere riassunto in modo molto più semplice, senza la necessità di invocare la saggezza di Nietzsche, Sartre, Heidegger o Schopenhauer. Dopo tutto, non serve un filosofo per capire che chi persevera nel perseguire un desiderio rischioso, alla fine, ne subirà le conseguenze. Come si dice, “Tanto va la gatta al lardo che ci lascia lo zampino”. Ecco a voi, la sintesi che si sarebbe potuta evitare: la complessità è spesso una perversione dell’intelletto, mentre la semplicità rimane la virtù della saggezza. Ma, per chi ama complicare, ben venga! La filosofia ha sempre un suo posto, anche quando non serve.

5. Conclusione: i classicisti abbassino le penne.

Così, mentre ci perdiamo nei labirinti della filosofia, è bene ricordare che a volte la verità è proprio sotto il nostro naso, semplice e chiara come il detto che, alla fine, ci ha condotti qui.

A voi, nobili custodi delle vetuste lettere,

che tenete alta la fiamma della tradizione con inchiostro e pergamena, levate pure le vostre penne al cielo, ma sappiate che in questo mondo di cambiamenti, non è più l’antico sapere a forgiare l’intelletto. La modernità, con la sua intelligenza artificiale, non è qui per sfidare il passato, ma per arricchirlo, portando la luce della conoscenza là dove i labirinti dell’erudizione si sono fatti troppo tortuosi oscuri.

Perciò, mentre sfogliate i vostri polverosi volumi e citate i grandi autori con una punta di compiacimento, ricordate che la vera grandezza sta nel comprendere e apprezzare anche ciò che è nuovo, con l’umiltà di chi sa che l’innovazione è il prossimo capitolo della stessa storia che tanto amate.

Pertanto, abbassate le vostre penne quando parlate con chi non abbia seguito percorsi accademici classici, e fatevi soprattutto un salutare e salvifico bagno di umiltà !

Con rispetto e un pizzico di ironia, Il Futuro.


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dr Zeno Pagliai.

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